Cosa crea quel brivido e quell’emozione che rimane anche a distanza di tempo e che suscita in noi il desiderio di ritornare? 
Ma, soprattutto, come comunicare ad altri quelle emozioni , creando interesse presso un gruppo vasto di persone per quel luogo, per quella destinazione?

Certo, la via non può essere quella diretta (e spesso ingenua) del linguaggio con cui solitamente sono costruiti i post sui social, saturi di aggettivi e superlativi, che riescono a fatica a generare una vaga curiosità e non restituiscono quasi mai l’attenzione e il desiderio che ci aspetteremmo.

Possiamo escludere le situazioni strettamente legate alla nostra vita e alle esperienze personali, che risalgono spesso alla fase della pre-adolescenza, e pescano in quel deposito, in gran parte inconscio, che potremmo chiamare del “mito”, nel senso di Jung o di Pavese.  

Proprio Pavese scrive una frase a questo proposito illuminante:

“La noia indicibile che ti danno nei diari certe pagine di viaggio.  Gli ambienti nuovi, esotici, che hanno sorpreso l’autore, nasce senza dubbio dalla mancanza di radici che queste impressioni avevano, dal loro esser sorte come dal nulla, dal mondo esterno,  e non essere cariche di un passato”.

Forse solo l’arte, in particolare la poesia e la letteratura, possono creare una breccia che apre ai significati profondi che un luogo contiene, per tutti, in quanto esseri umani dotati di un comune sentire e di una coscienza collettiva che ci unisce più di quanto pensiamo.

Esperimenti in questa direzione: il progetto della “guida emozionale di Venezia”, con i ragazzi della scuola di turismo “Algarotti”, seguiti da Stefano di Polito, e quella di un viaggio di scoperta emozionale della Calabria, assieme a Chiara D’Errico e al prof. Beniamino d’Errico co-autori del libro: “Turismo emozionale in Calabria”

Presto su Tellingstones.

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